La versione di Barney, recensione

La versione di Barney, recensione

Venerdì 14 gennaio uscirà in tutte le sale italiane il film La Versione di Barney che vede protagonista un Paul Giamatti straordinario affiancato da un Dustin Hoffman altrettanto bravo.
La pellicola prende spunto dal romanzo dello scrittore canadese Mordecai Richler (scomparso nel 2001), che racconta la vita dell’ebreo canadese Barney Panofsky, che giunto in età avanzata decide di ripercorrere le tappe della sua vita attraverso un’autobiografia.
Un romanzo ricco di emozioni ed intriso di humor e difficile da adattare allo schermo cinematografico, soprattutto per il fatto che è un racconto tutto in prima persona, in cui il protagonista descrive quella che è la “sua” verità, ma che il produttore Robert Lantos è riuscito a realizzare in modo molto divertente e dinamico.



La storia racconta le avventure di questo cinico produttore ebreo di soap di basso livello, che mette di fronte a tutto i soldi e si lascia trasportare da tutti i vizi possibili ed immaginabili, in modo particolare l’alcol e le donne.
Nel libro, Barney risulta essere molto più cattivo, mentre il suo alter ego cinematografico ha una vena umana e maliconica che tocca lo spettatore e lo commuove.
Il cinismo imperante del protagonista viene qui assorbito dal personaggio di Hoffman, il padre di Barney un poliziotto in pensione molto sboccato e rude ma molto coinvolgente e divertente.
Il film è un piccolo capolavoro, anche se però non rispetta in modo letterale il romanzo da cui prende spunto e crediamo che chi andrà a vederlo sicurmente uscirà arrichito dal cinema.
Il concetto di base è che ogni uomo è un’isola e che con il trascorrere del tempo diventa sempre più impervia e rocciosa: sta alle persone intorno inoltrarsi all’interno, esplorandola tutta, per riuscire a trovare dietro la spessa coltre di rocce e foreste, la vera ricchezza e dolcezza della persona che a quel punto getterà la maschera.